
Una ferita da ricucire
Ramelli 50 anni dopo, Meloni: “Tutti devono fare i conti con la morte di Sergio. Oggi è un pezzo di storia d’Italia” (video)
L'inaugurazione della mostra "Le idee hanno bisogno di coraggio" a Milano. La premier: ai ragazzi dico "coltivate la vostra libertà, non perdete il vostro sorriso, difendete le vostre idee, ma fatelo soprattutto con amore. Come faceva Sergio"
Domani saranno cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli. Tanti gli appuntamenti nella “sua Milano” (l’omaggio ai giardini a lui intitolati, cortei e convegni) per ricordare il militante del Fronte della Gioventù, appena 19enne, ucciso a colpi di chiave inglese da un comando di Avanguardia operaia nel 1975. “Colpevole” di aver scritto un tema contro le Brigate Rosse, Sergio morirà dopo 47 giorni di coma.
Ramelli, il videomessaggio di Meloni alla mostra “le idee hanno bisogno di coraggio”
Oggi ad aprire le celebrazioni, alla vigilia del cinquantesimo anniversario dall’uccisione, l’inaugurazione della mostra «Le idee hanno bisogno di coraggio», nell’auditorium Testori a Palazzo Lombardia. A dare il sigillo il videomessaggio della premier Giorgia Meloni nella sezione “Sergio, figlio d’Italia”. “Ci tenevo moltissimo ad esserci in questo anniversario così importante”, ha detto la premier. “Siamo reduci da giorni intensi, nei quali la scomparsa del Santo Padre ci ha portato a riflettere su temi profondi: misericordia, perdono, pietas, provvidenza. Ed è terribilmente difficile accostare questi valori alla vicenda di Sergio Ramelli. Cinquant’anni fa si spegneva la sua giovanissima vita: una morte tanto brutale quanto assurda e forse, proprio per questo, divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia”.
“Sergio era un persona libera e amava l’Italia più di ogni altra cosa”
Un esempio di libertà e di amore, questo il messaggio forte che resta dopo mezzo secolo da quel terribile assassinio. “Sergio era una persona libera. Ma essere liberi in quei tempi duri comportava un’enorme dose di coraggio, che spesso sfociava nell’incoscienza, addirittura. Sergio amava l’Italia più di ogni altra cosa e aveva deciso di non tenerselo per sé, di dirlo al mondo, senza odio, arroganza o intolleranza. La sua storia – continua Meloni – ce l’ha raccontata chi lo ha conosciuto. Chi ha condiviso con lui la militanza politica, chi ha sperato e pregato per quei terribili quarantasette giorni di agonia che Sergio potesse risvegliarsi. Chi ha pianto quel 29 aprile in cui si è spento. E nei giorni successivi quando persino celebrarne il funerale divenne un’impresa. Chi ha ricercato incessantemente verità e giustizia, prima e durante il processo. Chi in questi anni ha dedicato alla sua memoria una strada o un giardino e chi invece un libro, una canzone, un fumetto o uno spettacolo teatrale. E quella storia ce l’ha raccontata Anita, mamma Ramelli, che per quasi quarant’anni ha onorato il suo amato Sergio insegnando dignità e amore infinito”.
La sua vicenda, la sua vita e la sua morte sono un pezzo di storia d’Italia
Meloni ha sottolineato come quella memoria, per troppo tempo soltanto di una parte, inizia ad essere maggiormente condivisa, “nel tentativo di ricucire una ferita profonda nella coscienza nazionale che deve accomunare in uno sforzo di verità e pacificazione tutte le vittime innocenti dell’odio e della violenza politica”. La premier ha poi ricordato l’emissione di un francobollo dedicato allo studente di destra. “È stato per noi molto più che un gesto simbolico. Significa affermare che la sua vicenda, la sua vita e la sua morte, sono un pezzo di storia d’Italia con cui tutti quanti, a destra e a sinistra, dobbiamo imparare a fare i conti. Significa ricordare che la libertà non è mai scontata”.
Dobbiamo imparare a riconoscere subito i germi dell’odio perché non accada mai più
Ai nostri figli – ha aggiunto – dobbiamo raccontare “che c’è stato un tempo in cui per le proprie idee si poteva essere costretti a cambiare scuola, quartiere, città. Si poteva essere minacciati, insultati, aggrediti. Si poteva persino perdere la vita, uccisi da carnefici che nemmeno ti conoscevano, in una spirale di odio cieco e violenza che si è trascinata per troppi anni. Dobbiamo raccontarlo, non soltanto per ricordare chi ha pagato il prezzo più alto. Ma per imparare a riconoscere subito i germi di quell’odio e di quella violenza, per neutralizzarli subito e impedire loro di generare nuove stagioni di dolore, perché insomma non accada mai più”.
A ragazzi dico ‘non fatevi ingannare dai cattivi maestri’
La premier ha poi dedicato un passaggio a quella “minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che oggi hanno l’età in cui Sergio morì, che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri. Coltivate la vostra libertà, non perdete il vostro sorriso, inseguite la bellezza, difendete le vostre idee con forza ma fatelo sempre e soprattutto con amore. Come faceva Sergio”.
La Russa: la sua memoria è un segnale per tutti
Ignazio La Russa ha sottolineato la potenza della memoria che, anziché affievolirsi, è diventata anno dopo anno un segnale. “Che riguarda sempre più persone non solo persone della destra, ma persone che vedono in Sergio Ramelli una figura che può servire a dire no all’odio di parte, che può servire a far capire quando sia sbagliata la contrapposizione violenta”. Alla vicenda di Sergio Ramelli, il presidente del Senato accosta “sempre due giovani di sinistra, Fausto e Iaio, che sono tra i pochi per i quali ancora non è stata fatta giustizia”. “Non è stato scoperto chi li ha uccisi – ha sottolineato – perché credo che questa memoria condivisa di giovani che hanno perso la vita solo perché credevano in delle idee, non importa se di destra o di sinistra, è un insegnamento che credo debba restare forte in questa fase storica in cui vedo riaffacciarsi nei fuocherelli che non mi piacciono”.
Mai più a scuola di odio, intervista a Paola Frassinetti
Tra i momenti salienti dell’inaugurazione della mostra la premiazione “mille città per Sergio”, l’intervista “Mai più a scuola di odio” a Paola Frassinetti, sottosegretario all’Istruzione, e ancora “Non fu un gioco da ragazzi”, viaggio negli anni ’70 tra parole e musica con Gianmarco Mazzi, sottosegretario alla Cultura, ed Enrico Ruggeri. A chiudere l’evento “le idee hanno bisogno di coraggio” con le interviste a Ignazio La Russa e il giudice Guido Salvini.