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Rifare grande l’Occidente. Le sfide esistenziali che si combattono a Roma come a Washington

L'editoriale

Rifare grande l’Occidente. Le sfide esistenziali che si combattono a Roma come a Washington

Per Giorgia Meloni l’intera posta in palio messa a repentaglio dal combinato di guerre, neoimperialismi e post-globalizzazione può essere “conservata” solo all’interno di quel sistema di valori con cui l’Europa ha plasmato l’intero paradigma occidentale

L'Editoriale - di Antonio Rapisarda - 19 Aprile 2025 alle 08:14

Dalla crisi, come ripete spesso, un’opportunità. Per riperimetrare ciò che siamo, ciò che vogliamo, ciò che ci impegniamo a fare per continuare ad esistere in continuità nella terra dei padri. L’ennesima prova per Giorgia Meloni, in appena due anni e mezzo di governo, ha incrociato questioni fondamentali a cui la premier ha voluto rispondere in mondovisione con un’idea forte. L’appello, in “stile Maga”, lo ha lanciato con convinzione proprio a Donald Trump nella Sala Ovale della Casa Bianca: facciamo di nuovo grande l’Occidente. Oltre alla bilancia commerciale e alla guerra dei dazi, infatti, c’è decisamente di più. Da una parte c’è lo spirito-guida di Trump, la re-industrializzazione degli Stati Uniti con l’idea che si faccia lì la ricchezza della Nazione; dall’altro c’è quel complesso e radicato sistema di valori senza il quale, però, non può esistere alcuna economia (né società) di mercato. È questo, secondo il ragionamento di Meloni, il grande legame che unisce le due sponde dell’Atlantico.

Lo hanno capito perfettamente persino a Bruxelles dove – al contrario delle Cassandre della sinistra nostrana, pronte a passare senza pudore da Obama a Xi – hanno benedetto la missione euro-atlantica della premier italiana. Che ieri, dopo le parole calorose di Trump, ha ottenuto il secondo riconoscimento in ventiquattro ore del ruolo di “pontiere” dalla visita a Roma del suo vicepresidente, J.D. Vance (che proprio a Palazzo Chigi ha confermato l’apertura al tavolo europeo sui dazi). Il risultato è un riconoscimento speciale di centralità: un uno-due che nessuno fra i leader continentali, non a caso, può vantare. Eppure Giorgia Meloni questo successo diplomatico lo ha portato in dono – come il Secolo d’Italia ha rilevato a caldo – all’intera Europa: smentendo tutti coloro che profetizzavano un’azione disgregratrice dell’Ue da parte dell’Italia e che le chiedevano per ciò, in maniera dissennata e provocatoria, di «scegliere fra Washington e Bruxelles». La premier ha scelto di tutelare l’Italia: cuore d’Europa e spirito d’Occidente.

Perché l’intera posta in palio messa a repentaglio dal combinato di guerre, neoimperialismi e post-globalizzazione – ossia l’economia sociale di mercato, il primato dell’umanesimo sull’uomo-massa, lo Stato di diritto – può essere “conservata” e reinnestata solo all’interno di quel milieu con cui l’Europa “di sempre” ha plasmato l’intero paradigma occidentale. Paradigma che deve vedersela con quella che proprio Vance, nello storico discorso di Monaco, ha chiamato con preoccupazione «minaccia dall’interno: il ritiro dell’Europa da alcuni dei suoi valori fondamentali. Valori condivisi con gli Stati Uniti d’America».

La risposta dell’Italia alle sfide esistenziali comuni denunciate da Vance (la lotta contro il dirittismo woke e la cancel culture, la difesa dei confini) è arrivata ovviamente dall’azione di governo. Ma anche quando Meloni ha riallacciato, proprio alla Casa Bianca, «gli antichi legami» con gli Usa all’anniversario dell’accordo che permise a Cristoforo Colombo di intraprendere il suo viaggio, ribadendo di sapere «che quando parlo di Occidente, non parlo principalmente di spazio geografico, ma parlo di civiltà». E in nome di tutto ciò allora, senza alcun minimo dubbio nell’indicare le colpe dell’invasore russo, la premier ha esortato l’azione diplomatica di Trump a difesa proprio della sovranità dell’Ucraina: «Insieme possiamo fare meglio, possiamo difendere la libertà dell’Ucraina e costruire una pace giusta e duratura».

A dimostrarsi fuori dalla storia e dall’asse euro-atlantico, in tutta questa vicenda, vi è chi tifa “caos” solo per ragioni di bottega e per odio a Trump e (in patria, sic) al ritrovato e riconosciuto protagonismo italiano determinato dall’esecutivo Meloni. Una sinistra politica e mediatica letteralmente impazzita, con un navigatore interiore così sballato da volerci trascinare in un “altrove” dove a essere legittimati come interlocutori strategici sarebbero regimi – come quello cinese – che rigettano l’intero impianto del welfare europeo e dei suoi diritti. E che rappresentano, oltretutto, il competitor più scorretto in termini economici e geopolitici. L’Occidente a trazione europea deve difendersi pure da costoro. Ma l’Italia, per fortuna, è avanguardia pure in questo.

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di Antonio Rapisarda - 19 Aprile 2025