
Istantanea digitale
Roma capitale del post-woke: due giorni per archiviare l’eccesso. Il racconto della nuova era comunicativa
Giorgia Meloni al centro dell’analisi: la leader che conquista consensi dosando parole, evitando l’hype e padroneggiando ogni piattaforma
Roma ha ospitato il suo G7 della comunicazione. Ospiti della Camera di Commercio, giornalisti, esperti e comunicatori si sono dati appuntamento per decifrare un presente che cambia a ritmo accelerato. Due giornate fitte – il 16 e 17 aprile, promosse da Fratelli d’Italia – per raccontare ciò che altrove si sussurra con timore: l’alba di un’era post-woke, il ritorno della verità fondata sui dati, la costruzione paziente – non frenetica – di una sovranità digitale. Tre panel, molteplici visioni, una certezza: la comunicazione non è più lo strumento del potere. È il potere.
Il fattore Meloni: la leadership è il messaggio
«Se oggi il brand politico è il leader, allora il leader è il messaggio», ha spiegato con taglio scientifico Domenico Giordano (Arcadia), portando dati, interazioni e strategie a supporto. Non basta più esserci, bisogna saper pesare la propria presenza. E la presidente del Consiglio – ha insistito – «non ha mai ceduto alla sovraesposizione, ha scelto l’autenticità no filter e una reputazione costruita pezzo per pezzo».
Luigi Di Gregorio, professore emerito dell’Università della Tuscia e della Luiss ha introdotto una formula: «Less is more» La leadership – ha detto – oggi si misura sulla capacità di resistere alla fame dopaminica del consenso istantaneo. «La Meloni evita la saturazione comunicativa, non si presta alla bulimia dei social, e proprio per questo continua a crescere e guadagnare consensi».
Tiberio Brunetti di Vis Factor, società leader nell’analisi dei dati, ha chiuso il cerchio: «La sua forza si appoggia a un’infrastruttura digitale poderosa. Non è il leader a reggere la rete, ma il contrario: è la macchina del partito che amplifica, sincronizza e sostiene ogni messaggio».
Un successo, dunque quello di Meloni, che resiste all’erosione del tempo e delle mode politiche. «La Meloni non ha ancora sbagliato un colpo», ha osservato Giordano.
La guerra dei social: Meloni, Salvini e Conte a confronto
Il secondo panel ha spalancato le quinte della war room digitale. Alberto Di Benedetto, responsabile social di Fratelli d’Italia, ha moderato il confronto tra i comunicatori dei tre principali leader politici italiani. Nessuna diplomazia. Solo strategia.
Il leghista Cristiano Bosco ha rivendicato la doppia natura comunicativa della Lega: «Siamo al governo in Italia, ma all’opposizione a Bruxelles. Questo ci consente uno stile diretto, muscolare, senza mediazioni». Il riferimento poi al celebre video Open Arms non è sfuggito: «La parola “colpevole” non è stata casuale. È stata una scelta precisa per raccontare la narrazione di un leader sotto processo, accusato ingiustamente».
Dario Adamo, responsabile social di Giuseppe Conte, ha invece ricordato la genesi del leader pentastellato: «Conte non esisteva politicamente, eppure in pochi mesi ha costruito una comunicazione istituzionale prima, politica poi, tutta dal nulla. Abbiamo puntato sulla costanza e sull’empatia». Il tempo ha fatto il resto, ma soprattutto la squadra, perché come Adamo ha tenuto a specificare: «Questo è un lavoro di squadra. Nessun genio solitario ma un lavoro collettivo, quotidiano».
Poi è toccato a Gianluca Santoro, curatore digitale di Meloni: «La nostra forza è nella coerenza e nell’autenticità. Non abbiamo mai cambiato stile. Il carattere, il carisma, la spontaneità della Presidente sono rimasti sempre gli stessi. Noi li valorizziamo senza filtri». Eppure, ha ammesso, un cambio c’è stato: «Ora ci rivolgiamo a più target: nazionale, europeo ed internazionale. Quindi servono contenuti dal tono più istituzionale, più rassicurante e più inclusivo. Ma la sostanza è immutata».
L’economia delle parole, le parole all’economia
Ma non solo politica, si è parlato anche di finanza, società e dati. «Oggi i mercati si muovono sui numeri, non sui manifesti. E Trump lo ha capito prima di tutti. La comunicazione politica ormai si nutre di dati grezzi, non di opinioni», ha spiegato Chiara Albanese di Bloomberg. «Noi diamo valutazioni, diamo notizie, diamo dati».
Eppure, troppo spesso questi dati non arrivano a tutti. «Parliamo dentro bolle. Oggi il vero nemico dell’informazione è la disattenzione», ha avvertito Leonardo Donato di Fortune Italia. La sentenza? «La gente non ascolta. Bisogna educare le nuove generazioni a prestare attenzione alle informazioni».
Un monito, quest’ultimo, che a Starting Finance si è davvero trasformato in missione: «Siamo il primo media finanziario pensato proprio per gli under 35. Il nostro primo obiettivo è fare educazione finanziaria», ha raccontato Gianfranco Manco. «In Italia, il 60% dei lavoratori non sa leggere la busta paga. Questo è un dato grave», ha commentato.
Sul fronte woke invece, il giudizio è stato unanime: «Era diventato un eccesso – ha detto Donato – oggi in Usa si torna a parlare di merito e talento. L’Europa torni a parlare di valori se vuole vincere. Perché se la partita si gioca solo sul terreno dell’economia, finiremo per perdere: quello è il campo degli americani, e lo sanno giocare meglio di noi».