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In difesa della lingua italiana

Insidie nascoste

Salviamo l’italiano dall’inglese e… dai dialetti. Anche per il turpiloquio la nostra lingua ha tutto ciò che le serve

Abbiamo bisogno di italiano parlato per tutti gli usi: professionali e dotti, normale conversazione e anche invettive contro l’arbitro e il Var. Del resto, non mancano circonlocuzioni pittoresche

Cultura - di Ulderico Nisticò - 13 Aprile 2025 alle 07:00

La lingua italiana sta subendo diversi attacchi, e non mi pare che stia reagendo molto bene. Un attacco è quello frequentissimo da parte dell’inglese, o direi più esattamente americano, che ha dalla sua l’uso mondiale di alcune terminologie tecniche; e la sua intrinseca caratteristica di sintesi e di capacità di comunicazione; e la facilità di apprendimento per chi non fa il dotto oxfordiano.

È l’inglese degli aeroporti, del commercio e magari anche della divulgazione, e pronunziato alla meglio e con dubbi di semantica; però proprio per questo è potentissimo. Esempio? L’India, con migliaia di anni di civiltà e di lingue solennissime, alla fine continua a usare l’inglese come ai tempi di Vittoria imperatrice; e così fa l’Europa nonostante la Brexit.

Consolatevi, anche i Romani, pur gelosissimi del latino come lingua dello Stato, si divertivano spesso con il greco: un greco dei porti, come degli aeroporti è un certo inglese; o un greco letterario. Non è dunque sono un fatto di predominio americano, ma proprio un problema glottologico, e anche il più accanito nazionalista si trova in difficoltà; tranne a fare come nel Ventennio quando traducevano i cow boys con butteri; il che era anche sbagliato, perché le due categorie avevano in comune solo i cavalli; sbagliato come quando leggete in tv che Tizio è niente meno che filosofo, traduzione… no, translitterazione del francese philosophe, che vuol dire solo opinionista. E non scordiamo i terribili danni morali di aver reso il francese bonheur con l’italiano felicità, che vuol dire tutt’altra cosa, però la si cerca come fosse a portata di mano di chiunque, donde il dilagare delle nevrosi e peggio.

Dagli attacchi stranieri, la lingua italiana può difendersi. Più sottile è l’insidia dei dialetti, antichi quanto… anzi più antichi dell’italiano, e che tutti usiamo in parte, sebbene non sia attuale incontrare uno totalmente dialettofono; e anche il più fanatico sostenitore di una vera o presunta identità locale si rende conto che è impossibile oggi pronunziare una frase integralmente dialettale, cioè senza l’italiano o degli italianismi; tranne a parlare di argomenti e di epoche premoderne e pretecnologiche.

Ed è questo il vero nemico: parlare dialetto puro comporta il rischio di una visione del mondo, e della stessa politica, che risulterebbe sociologicamente arcaica ed estranea a ogni argomento del 2025; quando non espressione di ambienti e ceti sociali non edificanti… diciamo così. Concludiamo che i dialetti hanno avuto i loro legittimi spazi letterari in argomenti popolari e personali, quindi in certo teatro e in certa poesia e canzone, e anche in certi bei film… Prendiamone uno celebre: vero che fa parlare in romanesco Pio VI, ma quando egli dovette respingere le pretese giacobine, rispose Non possumus, in latino, che è una lezione di teologia e di politologia, mentre se avesse strascicato “e ‘un potemo” sarebbe stata una rassegnata resa. I dialetti dunque devono restare dialetti, e non possono diventare prosa; e per la prosa occorre esclusivamente l’italiano. Dico per la prosa, perché per la poesia ci pensa da solo benissimo dai tempi di Federico II.

Quale italiano? L’Italia unificata da e contro o mezzo mezzo i dialettofoni piemontesi e napoletani, aveva bisogno di una lingua, e adottò l’italiano del Manzoni, che appariva una lingua media e adatta all’uso dell’amministrazione e della politica e di quanto occorreva a uno Stato; una lingua media anche perché ragionevole, e che volutamente non esprimeva passioni e ire e amori ardenti e ansie esistenziali: la lingua del buon cittadino medio, e, secondo il Manzoni, anche buon cristiano però un tantino liberale. Si opposero subito sia gli italianisti come l’Ascoli, sia i classicisti come il Carducci; e seguirono esperimenti di ogni sorta, sia meramente letterari come quelli di d’Annunzio e Pascoli, sia trasgressivi come quelli dei futuristi; ma il modello oggi praticato resta manzoniano, rivisto da due strumenti non proprio di alta cultura: il servizio militare di leva e poi la televisione. La scuola continuò a insegnare l’italiano scritto, e tuttavia temo che alcuni prof ordinino nei locali dialetti la chiusura e apertura della finestra, facendo passare così l’italiano come una specie di lingua straniera per le interrogazioni. E magari si sentono identitari.

E invece abbiamo bisogno di italiano parlato per tutti gli usi, sia quelli professionali e dotti, sia quelli della normale conversazione, sia per inveire contro l’arbitro e il Var: operazione, questa, che si può compiere tranquillamente in perfetto italiano e con ogni più pittoresca circonlocuzione. Volete esempi di turpiloquio dantesco? Ce ne sono, ce ne sono.

(Foto da Pixabay)

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di Ulderico Nisticò - 13 Aprile 2025