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valentina cirelli

Il ruolo della Farnesina

“Sono libera. L’Italia ha mosso le montagne per me”: Valentina Cirelli racconta l’incubo vissuto nelle carceri della Guinea Bissau

L'imprenditrice e attivista racconta la "grandissima forza" trovata nel sapere di avere l'Italia al suo fianco e spiega: "Contro di me non c'è alcuna prova, sono innocente. Mi hanno voluto far pagare 10 anni di denunce contro l'esplorazione di una miniera abusiva"

Esteri - di Ginevra Lai - 29 Aprile 2025 alle 14:11

«Dieci giorni e dieci notti che sono sembrati dieci mesi». Con queste parole Valentina Cirelli, attivista ambientale e imprenditrice italiana, sintetizza l’odissea vissuta nelle carceri della Guinea Bissau, dove è stata arrestata il 19 aprile. È libera, e questo è ciò che conta anche se uno sciopero dei giudici nel Paese sta allungando i tempi per una conclusione definitiva della sua vicenda.

Valentina Cirelli: “Io sono innocente”

Cirelli è stata accusata di aver “istigato la popolazione locale a incendiare l’auto di un’azienda cinese”, la Gmg International, che sfrutta una miniera di sabbie pesanti nella località costiera di Varela. Ma lei chiarisce che «contro di me non c’è alcuna prova, io sono innocente. Mi hanno voluto far pagare dieci anni di denunce contro l’esplorazione di una miniera abusiva».

Arrestata senza mandato, portata via al tramonto

È il venerdì santo quando sei militari si presentano al suo hotel, il Kassumayaku, affacciato sulla costa. Nessun mandato, nessuna spiegazione precisa, racconta Cirelli all’agenzia di stampa Adnkronos. «Quando siamo arrivati alla spiaggia c’erano altri militari, una ventina. Mi hanno detto che dovevano portarmi nella capitale per interrogarmi. Erano le 19:30, da lì a poco sarebbe calato il buio. Ma mi hanno detto che era un caso molto urgente e non si poteva rimandare». Valentina si fida e li segue.

Da lì comincia il dramma, e l’italiana si ritrova dietro le sbarre: isolamento, sporcizia, il «caldo atroce», una spugna stesa per terra come unico giaciglio, sei ore senza poter andare in bagno solo per aver chiesto di parlare con un avvocato. «Per giorni me lo hanno impedito. Sono stati negati i miei diritti». E ancora: «Ho pianto, ho urlato di rabbia, ho condannato la tirannia e l’abuso di potere».

Un «caso militare, non civile»

Il giorno di Pasqua è stato il più lungo: «Lunedì sono stata interrogata da otto militari. Mi hanno spiegato che il mio era un caso militare, non civile. Mi hanno trasferito al ministero degli Interni per essere ancora interrogata. Sempre senza il mio avvocato».

Il nome di Valentina Cirelli, originaria di Lerici, presidente dell’associazione ambientalista Tchon Tchomano, era noto da anni tra gli attivisti locali. Da vent’anni vive in Guinea Bissau, da dieci gestisce il suo piccolo hotel a Varela, tra sabbia, turismo e battaglie contro l’estrazione illegale di minerali. La sua voce si è spesso alzata contro le concessioni a imprese straniere che, a suo dire, «avvantaggiano solo il governo locale, ma causano inquinamento, contaminazione delle acque, sfollamento della popolazione e prostituzione».

“Racconterò la mia storia”

Ora che è tornata libera, anche se incerta sulla durata di questa libertà provvisoria, Cirelli promette di non arretrare: «Racconterò la mia storia sui social. Continuerò a denunciare le ingiustizie. Non metteranno fine alla mia battaglia con la violenza». Poi aggiunge: «In carcere ho avuto paura che fabbricassero prove false, che pagassero qualcuno per accusarmi». La mente – dice – quando è rinchiusa, va dove vuole, e non sempre nei posti migliori.

“Dall’Italia stavano muovendo le montagne”

A darle «una grandissima forza» è stato l’incontro quotidiano con il console. «Da mercoledì è venuto tutti i giorni. Lo ringrazio dal profondo del cuore. Mi ha detto che dall’Italia stavano muovendo le montagne per farmi tornare libera. E questo mi ha dato molta forza», afferma.

Il lavoro silenzioso della Farnesina

Dalla Farnesina il caso pare esser stato seguito minuto per minuto. L’ambasciata italiana a Dakar, competente per la Guinea Bissau, ha mantenuto un contatto costante con le autorità locali. La macchina diplomatica, pur muovendosi come da tradizione in silenzio, si è attivata fin da subito. Cirelli, lo scorso 24 aprile, aveva anche parlato al telefono con l’ambasciatrice. I suoi legali avevano presentato anche un’istanza di habeas corpus, che però le autorità si sono rifiutate di ricevere.

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di Ginevra Lai - 29 Aprile 2025