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Corte Ue paesi sicuri

Schiaffo alle toghe rosse

Sui Paesi sicuri decide il governo, non la magistratura: la Corte Ue dà ragione alla linea Meloni. Si cambia musica

Il parere dell'avvocato della Corte di giustizia Ue è una marcia di avvicinamento alla linea del buon senso indicata dall'esecutivo, in attesa della sentenza definitva di fine maggio, inizi giugno. Duro colpo per la discrezionalità dei giudici e per la sinistra immigrazionista

Politica - di Gabriele Alberti - 10 Aprile 2025 alle 17:55

Sono i governi che devono decidere quali siano i Paesi sicuri. Dalla Corte di giustizia Ue arriva un un colpo durissimo alla discrezionalità delle toghe italiane sul tema immigrazione. E’ il parere espresso da Richard de la Tour, l’avvocato generale della Corte di giustizia Ue che ha studiato il dossier Italia-Albania: “Uno Stato membro può designare Paesi d’origine sicuri mediante atto legislativo e deve divulgare, a fini di controllo giurisdizionale, le fonti d’informazione su cui si fonda la designazione”. In attesa della sentenza della Corte attesa tra fine maggio e inizio giugno è chiara la marcia di avvicinamento verso la linea italiana, la linea del buon senso introdotta dalla premier ed apprezzata in sede europea. Le indicazioni di De la Tour, pur non vincolanti, sono già dare un segnale importante verso questa direzione. Uno schiaffo anticipato a toghe e a sinistra immigrazionista.

Migranti irregolari, si cambia musica

Lo Stato membro dell’Unione europea può inoltre, “a determinate condizioni, attribuire a un Paese terzo lo status di paese d’origine sicuro; individuando nel contempo categorie limitate di persone che potrebbero essere esposte al rischio di persecuzioni o violazioni gravi”, si legge nelle conclusioni dell’avvocato generale.  Il cui parere arriva a a zittire di fatto l’interventismo di alcuni giudici  italiani che di fatto hanno deciso di non applicare la legge messa a punto dal governo di centrodestra. Le conclusini di de la Tour danno ragione al governo Meloni.

Il giudizio dell’avvocato generale della Corte di giustizia Ue

Il caso su cui si è espresso l’avvocato generale riguarda due cittadini del Bangladesh, trasferiti in Albania nell’ambito del protocollo varato a novembre 2023; la cui domanda di protezione internazionale è stata respinta in Italia con procedura accelerata, in quanto provenienti da un Paese considerato sicuro da un atto legislativo italiano del 2024. Per il Tribunale di Roma e di altre città la legittimità dei fermi disposti nei loro confronti sarebbe messa in discussione da una sentenza della stessa Corte Ue del 4 ottobre scorso. Che darebbe ai giudici il potere di opporsi alla definizione di «sicuro» data dall’esecutivo – in particolare Egitto e Bangladesh -. E quindi disinnescare  il provvedimento del governo, con sentenze fotocopia e non calate sul singolo caso del richiedente senza diritto d’asilo. Le conclusioni a cui giunge oggi l’avvocato generale della Corte Ue invertono l’ordine delle cose:

Corte Ue: il giudizio che rimuove la discrezionalità delle toghe

Il governo può stabilire se un Paese di origine è sicuro mediante un atto legislativo. “Deve però divulgare, a fini di controllo giurisdizionale, le fonti d’informazione su cui si fonda tale designazione”. Solo in assegna di tali fonti di informazione da parte del legislatore – prosegue il legale – l’autorità giudiziaria competente può controllare la legittimità di una siffatta designazione”. Non solo: l’avvocato “bastona” anche un altro aspetto: riguardante la nozione di «Paese d’origine sicuro», anche se per alcune categorie di persone quel Paese non lo è»:  elemento che invece è stata la motivazione usata dalle sezioni Immigrazione e delle Corti d’Appello per ostacolare il protocollo del governo. «Questa possibilità – precisa de la Tour – è possibile solo se, da un lato, la situazione giuridica e politica del Paese in questione riflette un sistema democratico che assicura alla maggior parte della popolazione una protezione stabile contro persecuzioni o gravi violazioni; e, dall’altro, se lo Stato membro «esclude espressamente quelle categorie» vulnerabili «dall’applicazione» dello status di Paese d’origine sicuro «e dalla presunzione di sicurezza» che esso comporta. Quindi, nel caso di Egitto e Bangladesh, se i richiedenti asilo sono vittime di discriminazioni hanno diritto, altrimenti no.

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di Gabriele Alberti - 10 Aprile 2025