
Medio Oriente
Missili houthi su Tel Aviv e proteste nella Striscia: “Fuori Hamas, il popolo di Gaza non vuole la guerra”
Tajani: "Hamas fuori da Gaza, solo l’Autorità Palestinese può ricostruire". Crosetto: "Il fallimento della tregua ha riacutizzato un fronte sempre più caldo. L’Italia pronta a fare la sua parte"
Nel cielo terso sopra Tel Aviv, due bagliori improvvisi, due missili balistici lanciati dallo Yemen, firmati dagli houthi e benedetti dall’Iran, sono stati intercettati dalle difese antiaeree israeliane prima ancora di varcare i confini dello Stato ebraico. Nessuna vittima, nessun danno. Solo panico, sirene e l’eco sorda delle esplosioni all’aeroporto Ben Gurion, dove migliaia di famiglie in partenza per le vacanze pasquali si sono riversate nei rifugi. Un volo della Ita Airways in fase di atterraggio è stato addirittura costretto a virare sul mare, altri sono stati sospesi.
Missili su Israele, tutti abbattuti
L’Idf ha confermato che i razzi sono stati abbattuti. Ma il messaggio che passa non è rassicurante. È la nuova geometria del conflitto: i fronti si moltiplicano, gli attori si moltiplicano, e le traiettorie della guerra tracciano oggi rotte che lambiscono lo Yemen, la Siria, il Libano, il Mar Rosso e l’Iran.
“Fuori Hamas da Gaza“
A Gaza, invece, la minaccia arriva da dentro e i gazawi prendono coraggio. Dalla città di Beit Lahiya fino a Khan Younis, migliaia di palestinesi sono scesi in piazza per il secondo giorno consecutivo. I cori non lasciano spazio all’interpretazione: «Fuori Hamas, il popolo di Gaza non vuole la guerra, vogliamo mangiare». Un grido che sfida la paura, le intimidazioni e le rappresaglie. Hamas reagisce con la consueta formula: «Megafoni di Israele». Ma non basta più. Neppure a loro.
“Hamas non deve avere alcun ruolo nel futuro della Striscia”
Anche Fatah rompe il silenzio e si schiera: «Sosteniamo le richieste dei manifestanti». E chiarisce ai terroristi che «coloro che hanno preso parte alle proteste a Gaza sono cittadini neutrali». Antonio Tajani lo interpreta come un segnale: «Le proteste contro Hamas dimostrano che abbiamo scelto la linea giusta, ovvero individuare come nostro unico interlocutore l’Autorità Palestinese. È chiaro che Hamas non deve avere alcun ruolo nel futuro della Striscia. Siamo a fianco di Ramallah nell’impegno per le riforme, a partire proprio dalla sicurezza».
La conferenza che divide l’Europa
Nel frattempo, a Gerusalemme, Israele ha convocato una conferenza internazionale contro l’antisemitismo. Ampia, trasversale, aperta a tutte le forze politiche. Eppure, a sinistra l’invito è stato snobbato. La scusa? Secondo loro, il governo Netanyahu vorrebbe strumentalizzare la lotta all’odio per legittimare un’agenda politica “di destra”.
Netanyahu, il fuoco interno e l’ombra del 7 ottobre
Ma la sfida più grande, per Benjamin Netanyahu, resta interna. La Knesset ha approvato una legge per rafforzare il controllo politico sulle nomine giudiziarie. Per il quotidiano Haaretz, è «la prima volta nella storia di Israele» che il Parlamento si arroga il potere di decidere i giudici. L’opposizione grida al golpe costituzionale. Yair Lapid sbatte in faccia al premier le parole più pesanti: «Hai fatto qualcosa come il 7 ottobre, il giorno più terribile per il popolo ebraico dalla Shoah». Benny Gantz avverte: «Il Paese è sull’orlo di una guerra civile».
La guerra a più voci
Mentre il governo perde pezzi e il dissenso si allarga, l’esercito risponde alla guerra con la guerra. L’Idf annuncia che «opererà con forza in altre zone di Gaza» e che «i piani sono già approvati». Israel Katz si rivolge ai civili: «Chiedete la rimozione di Hamas e il rilascio immediato degli ostaggi. È l’unico modo per fermare la guerra».
Il conflitto non conosce tregua: 830 morti in una settimana, oltre 50mila dall’inizio. Dalla Striscia partono ancora razzi verso il Sud di Israele. Uno viene intercettato, l’altro colpisce l’area di Zimrat. Intanto un raid uccide Abdul Latif al-Qanou, portavoce di Hamas. In Libano, un drone elimina Ahmed Adnan Bajija, comandante della forza Radwan di Hezbollah. In Siria, esplodono bombe su Latakia. L’Onu alza le mani: «L’impatto dei bombardamenti è devastante».
L’Italia nel Mediterraneo infuocato
A Roma, il ministro della Difesa Guido Crosetto ammette: «Il fallimento della tregua ha riacutizzato un fronte sempre più caldo. Ci troviamo a un bivio, con un rischio crescente di conflitti maggiori. Secondo la Croce Rossa ci sono oggi 120 conflitti nel mondo, in 92 Paesi. Nel 2019, Gaza era ancora classificata come conflitto minore».
Crosetto conferma il supporto italiano alla missione europea nel Mar Rosso per «proteggere la libertà di navigazione» e annuncia che «l’Arma dei Carabinieri addestrerà 10mila unità della Sicurezza Palestinese in Cisgiordania». La Farnesina, con Tajani, rafforza al contempo la linea diplomatica: «Il ripristino del cessate il fuoco è imprescindibile. L’afflusso di aiuti umanitari deve riprendere al più presto. L’Italia è pronta a contribuire anche a una missione di peacekeeping a guida araba nella Striscia».