Traballa la poltrona di Scaroni all’Enel. Dal Pd avvertono: dopo la condanna non può essere confermato
Il più inferocito è l’ex-amministratore dell’Enel, Paolo Scaroni. Si dice «stupefatto». Ma chi lo conosce bene sa che quel termine è un democristiano eufemismo. L’attuale ad di Eni è una pentola a pressione tenuta a forza su un fornello acceso a tutta mandata. Fatica a tenere a freno il furore. E si capisce. Non è per la condanna a tre anni con l’accusa di disastro ambientale doloso che si è beccato dal Tribunale di Rovigo insieme al suo predecessore Franco Tatò quando era alla guida dell’Enel dal 1996 al 2002, al processo di primo grado per danni ambientali causati dalle emissioni della centrale termoelettrica di Porto Tolle, sul delta del Po. Né per i soldi che dovrà sborsare alle parti civili – 430.000 euro di provvisionale – assieme a Tatò. Spiccioli per uno come Scaroni che nel 2012 si è messo in tasca 6,4 milioni di euro. Né per la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. No, la cosa che lo ha fatto andare su tutte le furie è che, per una questione di opportunità politica, rischiano di saltare i suoi ambiziosi progetti di carriera proprio a ridosso della tornata di nomine pubbliche che si sta avvicinando a grandi passi.
Dal Pd hanno già fatto sentire la propria voce. «Per le nomine in vista per Eni, Enel, Terna si tenga conto dell’elemento dell’ecosostenibilità del management», sollecita l’europarlamentare del Pd, Andrea Zanoni. Sulla stessa linea un’altra Pd di peso nel partito. «Deve essere chiaro a chi nominerà i prossimi dirigenti che i nomi di Scaroni e Tatò, assieme ai tanti che hanno accumulato procedimenti in questi anni, non sono più disponibili a conferme o nuovi incarichi, ne va della credibilità di tutta l’Italia», ha lasciato cadere la senatrice dem Laura Puppato mandando un messaggio chiaro e inequivocabile tanto a Scaroni quanto a Renzi. Il quale Renzi non è stato da meno. Interpellato sulla vicenda, ha fatto esattamente il contrario di quello che si aspettava Scaroni. L’ad di Eni si aspettava messaggi rassicuranti? Il premier è stato sibillino quanto basta per fargli scoppiare la bile: «Non possiamo che confermare che rispettiamo tutte le sentenze della magistratura», ha detto al termine del Consiglio dei Ministri. E a chi insisteva per saperne di più Renzi ha replicato: «Quanto alle nomine nei prossimi giorni, indipendentemente da questa vicenda, il governo dovrà esprimersi, avvicinandosi le Assemblee di Eni, Enel, Poste, Terna, Finmeccanica» e così come «ci saranno delle riduzioni» nel ceto politico, così sarà «anche nelle aziende: ne vedrete delle belle». Non erano esattamente le parole che voleva sentirsi dire Scaroni. Il quale non è per nulla rassicurato dal fatto che i reati per i quali l’attuale ad dell’Eni e Franco Tatò sono stati condannati non rientrano tra quelli che impediscono l’eleggibilità ai vertici delle controllate del Tesoro. La partita sulla sua riconferma, magari come presidente del gruppo petrolifero, potrebbe farsi davvero complicata. E Scaroni, che è uomo di mondo, se ne è reso perfettamente conto. Anche se sa che la direttiva dell’ex-ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, firmata il 24 giugno dello scorso anno, non contempla il reato ambientale previsto dall’articolo 434 del Codice Penale tra le varie fattispecie che impediscono l’eleggibilità o determinano la decadenza dei vertici delle società controllate direttamente o indirettamente dal Tesoro: i reati elencati nella direttiva, infatti, riguardano essenzialmente la sfera amministrativa, finanziaria, tributaria o contro il patrimonio. Ma non basta, questo, a Scaroni per guardare con un certo ottimismo alla sua carriera futura.