Il procuratore antimafia Roberti: «Il clan del Casalesi non esiste più, lo Stato l’ha sconfitto»

26 Giu 2014 11:02 - di Redazione

Una rivelazione clamorosa. Soprattutto perché arriva da una voce autorevolissima, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti: «il clan del Casalesi non esiste più, è stato sconfitto dallo Stato nel suo potere militare ed economico». L’occasione è l’audizione alla quale è stato chiamato Roberti per spiegare, di fronte alla Commissione Parlamentare Diritti Umani, qual’è la situazione dell’applicazione del 41bis, il cosiddetto carcere duro, previsto per mafiosi e, in qualche rarissimo caso, per i terroristi, quanti sono i detenuti sottoposti a questo regime detentivo in Italia, qual’è la ratio per decidere se rivedere o proseguire questa disciplina  restrittiva e, in particolare, quali sono i risultati a 22 anni dalla prima applicazione di questa misura che incide, pesantemente, sulla vita sociale tanto dei reclusi quanto dei loro familiari.
E Roberti ha, appunto, una novità clamorosa da riversare ai membri della Commissione Diritti Umani rispetto all’applicazione del 41bis, dal suo punto di vista privilegiato di Procuratore nazionale antimafia: «Il clan del Casalesi non esiste più è stato, sconfitto dallo Stato nel suo potere militare ed economico. In 22 anni – spiega Roberti, riferendosi all’arco di tempo da cui si applica il 41bis – abbiamo fatto molto contro le mafie, assicurando alla giustizia tutti i capi, salvo uno, Matteo Messina Denaro, che sono certo verrà presto catturato».
Quanto all’applicazione di questo regime carcerario che solleva spesso moltissime polemiche perché finisce per contrastare con il principio della rieducazione e del reinserimento dei detenuti alla vita sociale, Roberti sostiene che non si deve pensare che il 41bis «sia uno strumento per costringere i detenuti a collaborare con la giustizia. La norma ha uno scopo di prevenzione e ha impedito che il carcere fosse una proiezione del territorio e che l’organizzazione lo controllasse come controllava il territorio. Il 41bis – sottolinea il Procuratore nazionale antimafia – è stato ed è uno strumento efficace di contrasto alle mafie. Pensiamo che la nuova camorra di Cutolo si costituì in carcere».
Certo non sono tutte rosee e fiori. Uno dei problemi più delicati è quello delle proroghe dei 41bis e delle motivazioni che vi sono alla base. C’è parecchia confusione in questo senso. «Credo – dice Roberti – che serva una linea giurisprudenziale uniforme» auspicando, in questo, «una pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione».
Il nodo essenziale riguarda la necessità, per la proroga, di dimostrare l’attualità dei collegamenti tra detenuto e organizzazione esterna. E ci sono parere difformi da quoto punto di vista. «Se il 41bis funziona – obietta Roberti – non ci sono i collegamenti; ma se vengono meno i presupposti per il 41bis, può riprendere il collegamento».
Serve quindi, secondo il Procuratore nazionale antimafia, un più chiaro orientamento per chiarire quale sia l’elemento determinate per far scattare o per revocare la proroga (un passaggio che viene esaminato dopo i primi 4 anni di detenzione in 41bis e poi ogni due anni). Secondo Roberti è necessario che le Sezioni Unite si esprimano anche su altri aspetti, quali «le regole per i colloqui visivi, telefonici con i familiari e con i legali» per i detenuti in 41bis. Che, ad oggi, sono 717 e sono in carcere per lo più per l’appartenenza a organizzazioni di tipo mafioso. Tre, invece, i detenuti in 41bis per terrorismo. E fra loro c’è l’unica donna in regime di carcere duro, Nadia Desdemona Lioce, delle nuove Br.

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