Icilio Bacci, fucilato dai comunisti titini nel 1945. Il corpo non fu mai trovato

28 Ago 2015 8:28 - di Antonio Pannullo
Icilio Bacci e D'Annunzio a Fiume

Non si sa che fine abbia fatto, e il suo corpo non fu mai più trovato. Icilio Bacci, fiumano, già senatore fascista, scomparve misteriosamente il 28 agosto 1945 (data presunta) a Fiume, la sua città. La sua morte fu resa nota solo nel 1949. Quello che si sa è che la feroce polizia titina lo arrestò e verosimilmente lo fucilò. Non si sa se nella prigione di Karlovac o altrove. Icilio Bacci è un’altra delle migliaia di vittime dei comunisti jugoslavi, e sulla sua morte le autorità italiane non hanno mai condotto una vera inchiesta. A lui oggi è intitolata una via nel quartiere romano detto Giuliano Dalmata, al Laurentino. Ma chi era Icilio Bacci, nato Baccich? Come si è detto, nacque a Fiume nel 1879 da Eugenio e Isolina Girardelli, e già nei primi anni del secolo abbracciò la causa irredentista per l’italianità di Fiume. Fece rumore, in quel periodo in cui si decideva l’intervento in guerra, un suo opuscolo del 1914, Il problema dell’Adriatico e Fiume. Allo scoppio della Grande Guerra si arruolò volontario, ricevendo in seguito la Croce di guerra al Merito, insieme col fratello più piccolo Iti, il quale successivamente divenne presidente del Coni nonché deputato fascista. Sempre col fratello, prese parte all’impresa di Fiume, per poi diventare presidente della Provincia del Carnaro. In tale veste istituisce il Laboratorio provinciale d’igiene, il servizio d’autoambulanza e si adopera per la sistemazione delle strade provinciali. Nel 1930, per suo deisderio, il cognome Baccich passa alla forma italiana Bacci. I due fratelli ovviamente aderirono immediatamente al fascismo già dal 1920 con l’adesione ai Fasci di combattimento. Bacci si trasferisce a Roma ma mantenne il suo studio di notaio a Fiume. Nel 1934 divenne senatore del Regno.

Icilio Bacci nel 1944 fu processato perché senatore fascista

Ma un tale personaggio non poteva passare inosservato (né rimanere “impunito”, nella logica dei vincitori) dopo il 25 luglio 1943: nel 1944 l’Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo aprì un procedimento contro di lui e altri perché il suo nome era inserito nell’elenco dei parlamentari «ritenuti responsabili di aver mantenuto il fascismo e resa possibile la guerra coi loro voti e con le loro azioni dentro e fuori il Senato». Nel 1946 però il processo terminò con un “non luogo a procedere perché disperso”. Alla fine della guerra, pur ammonito dai suoi amici a fuggire, Bacci non abbandonò Fiume, e sembra venne arrestato dagli jugoslavi della polizia segreta Ozna e tutti i suoi beni confiscati. La moglie Lidia Urbani era riuscita a riparare a Venezia per motivi di salute. Secondo una lettera del 1946 del reggente croato avvocato Mandich, Bacci sarebbe stato trasferito dai titani nella prigione di Karlovac dove (forse) fu processato e fucilato. Ma il suo corpo non si trovò mai. Il fratello Iti, invece, dopo la guerra 15-18 scelse la strada del giornalismo: nel 1919 fondò La Vedetta d’Italia, che preparò il clima per l’impresa di D’Annunzio. Lo stesso poeta utilizzò La Vedetta per alcuni suoi proclami. Successivamente iniziò la professione forense ma, dopo la costituzione della federazione fascista di Fiume, Iti Bacci partecipò alla Marcia su Roma. Nel 1929 fu eletto deputato, carica riconfermata anche nella legislatura successiva. In quegli anni fu anche vice segretario del Pnf e presidente del Coni. Dopo l’8 settembre fu incarcerato a Fiume perché sospettato di attività anti-tedesca e fu liberato per l’interessamento del fratello Icilio. Alla fine della guerra lasciò Fiume e morì a Roma nel 1954. Un altro fratello Bacci, Ipparco, morì nel 1916 sul fronte, guadagnandosi una Medaglia d’Argento al Valor militare.

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