Il problema della destra? Sempre lo stesso, manca una classe dirigente

8 Giu 2016 11:45 - di Mario Bozzi Sentieri

Tra “modello romano” e “modello milanese” il vero problema del centrodestra italiano è che a mancare è un “modello Italia”, in grado di informare (nel senso di dare forma)  una classe dirigente, un progetto politico, una visione strategica. Tutto, a cominciare dai tempi e dai modi della campagna elettorale, è parso improvvisato ed incoerente: la scelta dei candidati, le idee guida, la capacità di coinvolgimento degli elettori. Per non dire del pasticciaccio brutto della Capitale, vero e proprio monumento dell’improvvisazione berlusconiana, su cui è inutile – a questo punto – soffermarsi.

Il dato di fondo è che oggi tutto il centrodestra è sempre più chiuso nel labirinto delle proprie debolezze e divisioni, su cui hanno pesato e pesano le frustrazioni degli ultimi anni, la diaspora parlamentare (da Alfano a Fitto, a Verdini, a tanti altri), i piccoli conflitti tra gli ex An, la sudditanza psicologica e politica nei confronti di Matteo Renzi. In un clima del genere certi risultati, a cominciare da quello di Giorgia Meloni, hanno del miracoloso. Il problema – parafrasando  Forrest Gump – è che  i miracoli non accadono tutti i giorni. Lo si è visto nel dissanguarsi delle liste di partito, segno di un costante scollamento politico e della difficoltà da parte delle diverse “anime” del centrodestra di intercettare una protesta diffusa, in larga misura raccolta dal Movimento 5 Stelle, il quale ha saputo sviluppare una strategia comunicativa e programmatica di lungo periodo, sintetizzata  nell’idea di rigore, di partecipazione, di lotta alla partitocrazia, in sintesi di “discontinuità”.

Gli ultimi risultati elettorali spingono a dire che un ciclo politico si è chiuso. Da qui, da questa consapevolezza deve partire il centrodestra, fissando, ancor prima che dei paletti programmatici, come ha anticipato Matteo Salvini, dei chiari discrimini di metodo, un “modello Italia” insomma, sul quale lavorare. Qualche idea ?

Rifiutare finalmente  l’idea di un falso “moderatismo”, che  troppe volte, almeno nel passato, ha significato compromesso, immobilismo, conformismo. E’ tempo di essere chiari negli obiettivi e nelle strategie.
Ricomporre ed aggregare un’area politica ed ideale che si riconosca in un un’idea di politica rigorosa e forte, onesta ed appassionata, che sappia misurarsi sui problemi dell’oggi, con lo sguardo rivolto ad dopodomani, alle reali necessità del popolo italiano, del territorio, delle comunità locali.
Ritrovare su questa strada l’idea dello Stato, non  uno Stato omnia facies, ma certamente omnia potens, simbolo di coesione, di forza, di rigore, di efficienza.
Lavorare per un’idea politica capace di leggere la realtà contemporanea (piuttosto che rinchiudersi negli steccati degli slogan), pronta ad interpretarla, impegnata a mobilitare e rappresentare nuove energie politiche, sociali e culturali.
Credere in una politica coinvolgente, che chiami a raccolta i ceti produttivi, i lavoratori di ogni categoria, che si confronti con l’associazionismo, con il mondo del volontariato, con i comitati presenti sul territorio, rifuggendo finalmente ogni chiusura ideologica, nella consapevolezza che a nuova crisi occorre rispondere con nuovi strumenti d’intervento.
Individuare regole e modalità per fare emergere una nuova classe dirigente, espressione del territorio, delle categorie produttive, degli interessi reali della gente. Per questo bisogna iniziare a porre limiti al numero dei mandati (in tutte le assemblee elettive: dai comuni al Parlamento), consentendo, attraverso lo strumento diffuso delle primarie, la scelta di rappresentanti non subiti, ma sentiti come propri dagli elettori.
Finirla con una visione della politica come conformismo, quieto vivere, retorica, urlo senza costrutto, silenzio pavido, gretto conservatorismo.
Risvegliare le coscienze di chi ancora crede che valga la pena impegnarsi in una grande battaglia civile, fatta nel nome dell’onestà, della partecipazione, del volontarismo.

E poi basta con i vecchi noti. “È la febbre della gioventù che mantiene il resto del mondo alla temperatura normale” – scriveva  George Bernanos.  Nel momento in cui i copioni  del centrodestra vanno riscritti c’è anche bisogno di nuovi interpreti. Per “alzare la temperatura” della passione politica e delle idee. Contro ogni “pensiero debole”. Con lo sguardo rivolto al futuro.

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