“No, caro Matteo”. La lettera aperta di un sindaco molto deluso da Renzi

19 Lug 2016 16:01 - di Antonio Marras

«Io da sindaco – mi verrebbe da dire “noi” da sindaci, ma tu, caro Matteo, sindaco non sei più nemmeno in quella suggestiva ipotesi di “sindaco d’Italia”, mi sembri un sindaco pentito – vorrei partire dalle città. Senza dimenticare l’Europa. Le città, i Comuni, erano il cuore di quell’”incantamento” che ricordo all’assemblea dell’Anci di cinque anni fa a Brindisi…».

I toni sono confidenziali ma duri, il linguaggio è da collega a collega, da sindaco a ex sindaco attuale premier, da estimatore della prima ora a deluso osservatore di quanto da Palazzo Chigi Renzi sta facendo e disfacendo contro i “suoi” Comuni. Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno, ex An ora Forza Italia, nel suo e-book “No, caro Matteo”, parte dal suo orticello marchigiano, molto ben amministrato, per ragionare sulla perduta autonomia degli enti locali, sulla crisi economica e sugli scenari ancor peggiori che si prefigurano per effetto del referendum costituzionale, sul quale il primo cittadino azzurro non ha dubbi: “Bisogna votare no».

Le prime accuse a Renzi sono sul piano economico: «Caro Matteo, mi è spiaciuto e mi spiace vedere che il tuo Governo sia diventato il più rigoroso prosecutore del disegno elitario e centralistico del professor Monti: anche tu vuoi che i sindaci diventino dei prefetti agli ordini dello Stato centrale? Io no. Io credo alla sussidiarietà, all’autonomia locale, alle città pubbliche, in cui si possano rifondare i valori della democrazia, che è fatta anche di risorse da spendere al servizio della comunità e di controllo trasparente sulle spese. Partecipazione, collaborazione, responsabilità: questa è la n u ova cittadinanza. Questo è il nuovo rapporto tra cittadini e Istituzioni. Si riparte dalle città e dai Comuni», scrive Castelli. che passa poi ad analizzare gli effetti devastanti del referendum Renzi-Boschi: «Sia chiaro, non voglio passare tra i sostenitori di una legge pasticciata, contraddittoria e incompleta, come la riforma del 2001. Un guazzabuglio a cui non ci si può affezionare. Ma che, proprio per questo, si dovrebbe migliorare. Non peggiorare». Ed invece… «Dico no anche al referendum, che per me, sindaco, è un sì alla speranza di poter dare conto davvero delle mie scelte ai cittadini della mia città. Vuol dire credere ancora a una nuova cittadinanza fatta di un patto serio tra cittadini e amministratori che possa misurare promesse, progetti, spese ed entrate. Con la Nuova Costituzione tutto questo verrà meno. Per sempre. E il sindaco diventerà un prefetto. E il Comune sarà ridotto a livello di un esattore di balzelli fiscali, sempre più aspri. Tasse sempre più alte a livello locale, raccolte dai Municipi per conto dello Stato centrale. E il luogo della nascita di una nuova possibilità politica di partecipazione e condivisione, costruite sulla necessità di un controllo vero e responsabile, sarà per il Comune solo un ricordo lontano e un sogno impossibile».

Castelli, i sindaci e la battaglia contro gli sprechi

Guido Castelli, 51 anni, è sindaco di Ascoli Piceno dal 2009. Candidato unico del centrodestra, nel 2014 è stato rieletto al primo turno, per il suo secondo mandato, con una percentuale di consensi che ha sfiorato il 60%. Laureato in Giurisprudenza, Castelli è avvocato cassazionista. Militante di Alleanza Nazionale, poi in Forza Italia, Castelli ha da sempre coltivato una forte identità radicata nei valori cattolici e una altrettanto forte capacità laica di dialogo con tutti, amici e avversari politici. Alla sua esperienza amministrativa locale – prima di fare il sindaco è stato per dieci anni consigliere regionale nelle Marche – ha aggiunto da cinque anni un impegno di carattere nazionale nell’Anci (l’Associazione nazionale Comuni d’Italia), come responsabile per la finanza locale e quindi come Presidente di Ifel, l’Istituto per la Finanza e l’Economia locale. Ed è in quella sede che ha conosciuto Renzi, che ora, in veste di premier, lo delude tanto: «Lo Stato ci restituisce i soldi della tassa sulla prima casa, e questo va bene. Ovviamente. Peccato che, oggettivamente, in questo modo si torna alla finanza locale stile anni ’70, basata sui trasferimenti dallo Stato. La finanza derivata, appunto. È indubbio che, in questo modo, i principi di autonomia ne escono malconci. I Comuni perdono autonomia fiscale e la loro programmazione urbana si baserà prevalentemente su un assegno che arriverà da Roma. Punto. Ma c’è di più e di peggio. La cifra di quell’assegno è fissata sulla base della Tasi incassata l’anno precedente. Così accadrà che i Comuni virtuosi che avevano tenuto basse le aliquote, per non danneggiare i cittadini, si troveranno meno soldi da spendere.E i Comuni meno virtuosi, che hanno gravato di più sulle tasche dei contribuenti potranno godere di maggiori risorse», spiega il sindaco di Ascoli. Che in “No, caro Matteo”, è ancora più esplicito: «I Comuni sono diventati il bancomat del Governo. E i sindaci sono i nuovi sceriffi di Nottingham, che invece di servire per il ritorno di Riccardo cuor di Leone si piegano agli interessi esosi del suo fratello reggente, il principe Giovanni. Che forse, viene il dubbio, di secondo nome faceva Matteo, come te?».

Castelli, peraltro, ha il vantaggio di poter parlare da sindaco virtuoso: «Il Comune di Ascoli Piceno ha preso sul serio la lezione della spending review. Vuol dire che siamo consapevoli che una stagione della nostra storia repubblicana è finita. Non sono più ammesse distrazioni e superficialità. Dobbiamo guardare con attenzione a ogni euro speso e a ogni euro incassato o incassabile. L’obiettivo deve restare il servizio alla nostra comunità di cittadini. E guai a dimenticare le ragioni della città e della cittadinanza. Ma tra i nuovi valori da ribadire e affermare c’è quello del buon governo, fatto con lo scrupolo e il rigore del buon padre di famiglia. Senza sprecare nulla, senza dimenticare nessuno».

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