Un tunisino racconta: «Così l’Isis mi ha arruolato nelle carceri italiane»
Un tunisino racconta di essere stato reclutato dall’Isis nelle carceri italiane. Una testimonianza pubblicata su La Stampa. È la storia di uno spacciatore tunisino, finito in cella per tentato omicidio. L’uomo è stato intervistato a Sousse in Tunisia. Parla di un “Reclutatore”. «Era egiziano, aveva braccia pesanti come clave e mani curate, i baffi tagliati come usano i salafiti, i radicali di Dio… Sapeva tutto il Corano e gli hadith profetici e la sunna. Restare con lui nell’ora d’aria e di socializzazione era una festa per i sensi e per il cuore. Con lui, persino io, giovane delinquente intossicato dall’eroina, mi sentivo purificato, elevato».
Il racconto del tunisino
Il tunisino racconta ancora che «tutto è cominciato con un gruppo di ragazzi come me, arrivati in Italia. Un giorno, mi fanno vedere la droga, spacciavano. Era marrone e io ero sorpreso… Ho provato, era buona. Spacciavo nelle strade e la prendevo, l’eroina. Spacciavo per farmi, non per diventare ricco. Alla Garbatella c’era un posto semi abbandonato, quasi in rovina. Ne avevano fatto una moschea irregolare, ma era destino che fede e droga fossero per me sempre vicini. Noi la usavamo per tagliare l’eroina e per dormire». Poi ci fu una sparatoria e l’arrivo in carcere per tentato omicidio.
L’incontro col Reclutatore
L’incontro con il Reclutatore è avvenuto nella doccia. «Io la doccia la facevo nudo, dell’Islam non m’importava nulla, mi piacevano le donne con le tette grosse e il vino. Lui mi parla: “Perché fai la doccia senza mutande, siamo musulmani noi, abbiamo degli obblighi che ci impone Dio, e Dio non vuole”. Ma non era una minaccia… Si vedeva che mi aveva già studiato, lui controllava tutti i nuovi, quelli che venivano da Paesi dell’Islam. Sapeva tutto: perché erano dentro, la durata della condanna, quelli che avevano pene lunghe li teneva per ultimi, aveva tempo per non farseli sfuggire, quelli più interessanti erano i tossici, sapeva se prendevano il metadone… I reclutatori sono persone che ti riempiono di emozioni».
Il ruolo del Reclutatore
«Il Reclutatore parla sempre, calmo e gentile: dice che la religione vera non è quella che abbiamo imparato da piccoli, che siamo nati per una missione, combattere per il Profeta. È la jihad della comunicazione questa, la jihad della parola, più efficace delle bombe. Lui sceglie proprio i peggiori, quelli più istupiditi dalla droga e quelli poveri, a cui non arriva mai nulla dall’esterno. Il Reclutatore è in carcere sempre per reati in fondo minori: documenti falsi, detenzione di un’arma. La sua è una missione specifica. Si diventa emiri così: più conversioni ottieni in prigione e più sali nelle gerarchie della jihad». E infine: «Quando sono entrato in carcere la prima volta, quelli che pregavano erano forse il cinque per cento, ora sono la maggioranza. E quelli che resistono sono pochi e senza aiuto».