Il caso Fusaro, così un marxista diventò maestro per la destra radicale

22 Giu 2017 17:06 - di Redattore 54

Piace, c’è poco da fare o da dire. E’ belloccio, va spesso in tv, ha legioni di followers che gli inviano cuoricini e manine che applaudono, è un po’ filosofo (nel 2010 per emergere ha sfruttato la Marx renaissance) un po’ Harry Potter contro la Grande Finanza Mondialista (praticamente il Voldemort che tutti aborrono).

Lui, Diego Fusaro, per tenersi fedele al personaggio non deve fare molto: posta ogni giorno la sua foto con accanto una frase di Gentile o di Nietzsche o di Heidegger e il gioco è fatto. Se viene criticato per il suo narcisismo i supporter replicano che si tratta di invidia o di manovre dei reggicoda del Capitale. Fusaro, del resto, ha imparato molto bene la logica dell’alternanza tra aggressività e vittimismo. Un giorno tira il sasso e il giorno dopo, se glielo ritirano, grida all’accerchiamento da parte dei “cani da guardia del pensiero unico politicamente corretto”. Insomma è la traduzione della vecchia massima, tanto cara a destra: “Molti nemici molto onore”. Il segreto della “ricetta Fusaro” pare sia un ardito mix di semplificazione e di complessità. Quando compiace il suo seguito semplifica, e parecchio. 

Ma il punto è un altro: come è potuto succedere che la destra, in particolare la destra radicale, lo abbia messo su un piedistallo? In realtà non è la prima volta che accade. Alla fine degli anni Settanta andava di moda il “gramscismo di destra” (bisognava che si uscisse dal clima sepolcrale e nostalgico del neofascismo per costruire le basi di un’egemonia culturale come insegnava Gramsci) che tanto faceva irritare Giorgio Almirante. Poi venne la “moda Cacciari”: erano gli anni Ottanta e Cacciari compiaceva la destra (quella che leggeva libri) riconoscendo agli autori della “rivoluzione conservatrice” fino da allora relegati ai margini una centralità teorica indispensabile per capire la modernità.

Oggi siamo al “fusarismo”, perché Fusaro – che di fascista non ha proprio nulla – colpisce il nemico (banche, poteri forti, Unione europea, capitalismo, grande finanza) con il rigido determinismo che gli proviene probabilmente dai suoi studi marxisti ai quali unisce le intuizioni di Costanzo Preve (bellissime alcune sue pagine sulle nuove forme di sfruttamento) e di Alain de Benoist. Il primo però non era poi tanto popolare e dunque Fusaro ha buon gioco nel riproporne , abbassando un po’ il livello, le teorie. E il secondo non avrebbe mai avallato l’idea di un complotto contro l’Europa gestito con la cosiddetta invasione dei migranti. Quest’ultimo punto, in particolare, ha reso Fusaro una specie di idolo per alcuni gruppi di estrema destra e leghisti rimasti tuttavia delusi quando, invitato il giovane docente di filosofia a un loro convegno, hanno dovuto fare i conti con il cachet richiesto. Ci mancherebbe: Fusaro non si muove certo gratis per parlare a “gruppuscoli settari” (citazione testuale). I quali ultimi ovviamente non prendendola bene lo hanno bersagliato di critiche non proprio da galateo.

Ma torniamo al “complotto”. Anche questo tema non è una novità per la destra, soprattutto per la destra radicale. Suffragato tra l’altro da testi come “La guerra occulta” di Malynski e de Poncins che pone alla base dell’evoluzione della storia europea dalla Rivoluzione francese al bolscevismo l’azione di una congiura ebraico-massonica.

Fusaro però per denunciare il complotto contro l’Europa non si è servito di questo testo ma della citazione di un’opera del conte Richard Nikolaus di Coudenhove Kalergi, un aristocratico austro-giapponese nato nel 1894 e morto nel 1972. Ecco allora che sul suo blog ospitato da Lettera43 Fusaro denuncia l’avverarsi del “perverso disegno del conte Kalergi, espresso nel suo Praktischer Idealismus (1925) con l’idea, a beneficio dei dominanti del tempo, di una sostituzione di massa dei popoli nazionali d’Europa con una massa seriale e indistinta, postidentitaria e post nazionale di schiavi ideali, migranti e sradicati, gregge multietnico senza qualità e coscienza”. Kalergi in alcuni siti sovranisti e anti-europeisti viene indicato come un agente della disintegrazione della “vera” Europa grazie al suo auspicio di un uomo del futuro di “sangue misto” che avrebbe sostituito i popoli europei. Forse Kalergi si faceva col suo movimento Paneuropa solo paladino di quel multiculturalismo che era una componente dell’Impero asburgico. Nei primi decenni del Novecento del resto il “meticciato” culturale non era certo una novità in Europa. Eppure Fusaro tirando fuori contemporaneamente dal cilindro il tema del complotto e quello razziale ha puntato a scandalizzare così tanto che è riuscito a far crescere attorno al suo personaggio l’aureola di pericoloso “eretico”.

Costanzo Preve, che era filosofo serio, non si sarebbe mai avventurato su questo terreno. Quanto ad Alain de Benoist, in uno dei suoi ultimi libri tradotti in Italia (Le sfide della post-modernità, Arianna editrice) chiarisce che gli immigrati non sono gli artefici della distruzione dell’identità dei popoli europei ma ne sono a loro volta vittime, perché un popolo con identità fragile non riesce ad essere inclusivo e vede nello straniero una minaccia perché è la risposta più semplice alla sua vulnerabilità. De Benoist rovescia completamente la prospettiva e anziché rispolverare piani e complotti indica chiaramente quali sono le cause della fragile identità dei popoli europei: esaurimento del modello dello Stato-nazione, disagio di tutte le istituzioni tradizionali, rottura del contratto di cittadinanza, crisi della rappresentanza, adozione mimetica del modello americano, ossessione del consumo, culto del successo materiale e finanziario, la scomparsa delle idee di bene comune e solidarietà. Ma il buon de Benoist risulta ormai superato dai nuovi “maestri del pensiero”: l’importante non è la complessità del ragionamento ma azzeccare la citazione giusta. I “like” verranno a valanga, confortanti e rassicuranti.

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