Ecco le rotte più inquietanti che passano per il Sahara

9 Ott 2017 16:47 - di Alessandro Verrelli

Massimiliano Boccolini e Alessio Postiglione pubblicano il libro  Sahara, deserto di Mafie e Jihad. Gli autori affrontano il fenomeno espansionistico dell’Isis, le vicende del Fronte Polisario, il ritorno alle armi dei Tuareg, andando ad accendere i riflettori su come il deserto del Sahara sia, oggi, un crocevia di traffici di armi, droga ed esseri umani dove, gli interessi economici criminali, legano i narco-jihadisti alle mafie internazionali. In merito ai contenuti di questo libro, oltretutto, Alessio Postiglione ha riferito, giovedi 5 ottobre 2017, alla “IV Commissione Onu” di New York.

Postiglione, giornalista professionista, docente ed esperto di comunicazione politica, ci ha spiegato: «Nel libro raccontiamo l’epopea di personaggi come Moktar Belmoktar, Iyad Ag Ghali, Abu Waleed al-Sahrawi; gente che è stata sia laica che jihadista; prima con Al Qaeda e, dopo, con l’Isis. Personaggi in cerca d’autore, o meglio, di un’ideologia utile per legittimarsi agli occhi della base delle organizzazioni, dato che la bassa manovalanza ha bisogno di credere in qualcosa di più grande, non tanto per uccidere, ma per uccidersi»

E da qui capiamo come, in realtà, le rotte del contrabbando di armi e droga siano le medesime di quelle del traffico di esseri umani,; così come sono gli stessi sono i soggetti che trafficano beni e persone.

«Jihadisti o mafiosi, dipende dal segmento della filiera. A volte anche gruppuscoli politici che rivendicano una qualche autonomia o autoproclamatisi movimenti di liberazione nazionale». Precisa Postiglione che aggiunge: «Jihadisti e, spesso, movimenti etnonazionalisti, si basano sulla stessa economia criminale. Bisogna considerare che i mafiosi, anche nel Sahel, si intestano battaglie politiche o religiose per legittimare le proprie angherie. I migranti, che fino a poco tempo fa arrivavano con i barconi da noi, erano comunque ingranaggi di una filiera dell’economia criminale. Lo dico sottolineando che è un nostro dovere morale e giuridico accogliere, ma questo non può portarci a negare l’esistenza di una vera e propria economia degli sbarchi a vantaggio dei narco-jihadisti che controllano quelle rotte»

E proprio per questo, sulla questione Minniti, l’autore ha aggiunto: «Si imputa al ministro di aver fatto un “patto oscuro” con milizie di criminali che detengono i migranti in Libia per conto di Sarraj. Ma quelle milizie di criminali erano le stesse che prima guadagnavano dai barconi e che ora si sono riciclati come carcerieri. Mi verrebbe da chiedere, allora, perché tutta la comunità internazionale ha puntato su Sarraj, appoggiato anche di gruppi in odore di jihadismo e mafia, quando questa cosa l’ha denunciata Haftar molto tempo prima. Il dato è che Haftar era l’uomo forte di Mosca, e l’Occidente ha puntato sul debole Saraj che, in questo momento, ingloba groppuscoli mafiosi e jihadisti proprio perché debole, secondo uno schema che in Italia conosciamo bene: è cosa nota che lo sbarco dei Mille, in Sicilia, si appoggiò ai mafiosi. L’Italia è un hub strategico, data la presenza di mafie come Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta. La camorra controlla i traffici verso la Spagna, la Sacra Corona Unita quelli verso Oriente. Una vera e propria via della seta criminale e jihadista che, dal Kosovo prosegue verso il Caucaso, attraverso l’Asia centrale fino alla Xinjiang in Cina». 

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