Giù le mani dalle Olimpiadi: la follia di inserire i videogiochi come sport

31 Ott 2017 14:50 - di Gloria Sabatini

I videogiochi sono sport? Pare proprio di sì, tanto che potrebbero diventare una disciplina olimpica (magari già a Parigi 2024). Il Comitato olimpico internazionale ha aperto ai videogames come futura disciplina olimpica, una novità di cui si è parlato poco, tirata fuori dal cilindro del summit di Losanna. Il Cio ha preso atto della «crescita esponenziale del movimento dei cosiddetti eSport nelle giovani generazioni» ed eleva l’uso del joypad a disciplina agonistica, in quanto «i giocatori si allenano con un’intensità paragonabile a quella degli atleti delle discipline tradizionali». Viene da chiedersi a quando l’ingresso alle Olimpiadi degli atleti delle chat, con buona pace di quegli invasati dei greci che pensavano all’eccellenza fisica e agonistica (olrtre che al cervello)?

Videogiochi promossi a disciplina olimpica

Perché passare ore seduti su un pouf davanti allo schermo, armati di cuffie e joystick, dovrebbe essere un’attività sportiva e invece starsene sbragati su un letto a chattare con i propri amici per ore, no? E perché non inserire tra le discipline olimpiche la gara delle abbuffate di cibo che comportano uno sforzo digestivo muscolare degno di una maratona? Decisamente meno pericolose della dipendenza abulimica da videogames. Solo quell’elefantone arcaico deil presidente del Cio Thomas Bach, pare, si sia detto scettico, ma non è bastato a fermare l’epica battaglia. Così mentre fior fiori di psicologi, sociologi, pedagoghi discettano sui rischi per la salute dell’abuso del web con annessi videogiochi, allarmati dall’effetto dipendenza, insomma dal rischio della ludopatia, il Cio promuove la consolle a sport del  futuro. E i cosiddetti “eSport” saranno testati già il prossimo anno nei Giochi Asiatici in Indonesia. Così vedremo sul podio, sulle colonne dell’inno nazionale, un ragazzino un po’ depresso per non avere relazioni sociali “vere”, ma espertissimo con le mani e dai riflessi eccellenti dopo anni di sudato allenamento con i videogames. Una bella medaglia d’oro al collo con cui tornarsene raggiante a casa e non pensare a niente. Al lavoro che manca, a una famiglia che non può farsi, a una pensione che non arriverà mai.

Un business asiatico da capogiro

Attenzione però a non screditare troppo la pensata del Cio. Non mancano rigidi paletti, ancora al vaglio degli esperti, per essere ammessi gli eSport: gli “atleti” infatti non dovranno infrangere i valori olimpici» (saranno estromessi i fanatici di Call of Duty?), «dotandosi di strutture per combattere il doping e di norme contro il rischio scommesse». In che modo? Esiste un esercito di giocatori tra i 15 e i 25 anni capaci i allenarsi anche 14 ore al giorno e di sfidarsi in tornei senza fine aiutandosi con qualche “integratore” o mix di farmaci contro i deficit di attenzione. Sarà una coincidenza, poi, che il settore produca un business da un miliardo di dollari americani, almeno secondo il Baird Equity Research Center, con un pubblico mondiale di quasi 500 milioni di spettatori?

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