Conte fa rosicare i grillini: solo fumo su concessioni autostradali e sicurezza
Bastava fissare il volto scuro, quasi terreo, di Luigi Di Maio per capire che il prolisso discorso programmatico di Giuseppe Conte si stava risolvendo in una sostanziale sconfessione del precedente governo giallo-verde ed in una Caporetto dei Cinquestelle. A dimostrarlo basta da solo il taglio dei parlamentari, certo ribadito ma subito ingabbiato nell’annuncio di altre riforme per «maggiori garanzie costituzionali». Come a dire: ne riparleremo. Ma al premier interessa ormai poco del destino politico di Di Maio e del M5S. Gli interessa il suo. E la sua ora e mezza di anodina elencazione di obiettivi, più volte interrotta dai cori dell’opposizione, di non è certo dispiaciuta ai suoi nuovi sodali del Pd.
Da Conte discorso prolisso e senza contenuti
Soprattutto perché Conte ha cominciato il suo intervento là dove aveva finito quando si era presentato in Senato per la sfiducia il 20 agosto scorso, cioè bacchettando Salvini. Un’operazione tutta politica, dal momento che l’avversione al leader leghista è l’unico collante della nuova maggioranza. E Conte lo condensa nello slogan «sobri nelle parole, operosi nelle azioni», annunciando «la lingua mite del governo» per porre fine al «frastuono dei proclami inutili». Tanto bon ton e poca sostanza, al netto del trito rito dei discorsi per la fiducia parlamentare: asili nido, parità di genere, autonomia al Nord senza penalizzare il Sud, diritto allo studio e lotta alla discriminazione di genere, Europa, ringraziamenti al Quirinale e via elencando. Non che siano mancati zuccherini lanciati al M5S come, ad esempio, l’introduzione del salario minimo. Ma si tratta di una misura che piace al Pd.
Governo senza bussola
Buio assoluto o quasi, invece, sui due punti più attesi e delicati: la revoca delle concessioni autostradali e norme sulla sicurezza volute da Salvini. In questo caso le granitiche certezze del premier hanno ceduto il posto a propositi quanto mai vaghi e fumosi di futuri approfondimenti e di contenuta «manutenzione costituzionale». La matassa, insomma, resta là. A conferma che a Palazzo Chigi si ballerà forte quando si tratterà di decidere sul serio.